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            PRESENTAZIONE DI “ LA GRANDE POESIA EUROPEA”,

                                             di Claudio Angelini

                 (dedicata a Gustav Mahler, nel 1° centenario della morte).

 

                                                                                “ Quello che tu puoi fare è soltanto

                                                                                   una goccia nell’oceano, ma è ciò

                                                                                   che dà significato alla tua vita “

                                                                                                     (Albert Schweitzer)

 

PREMESSA

 

Quando si scrive un libro, in genere si pensa più agli autori ed ai critici che al destinatario naturale dell’opera, cioè il lettore, che, poi, è colui che dà il vero giudizio, decretandone il successo oppure non. A che attribuire questo atteggiamento?  A soverchia preoccupazione? a senso di narcisismo, per cui l’autore già pregusta le lodi della stampa, perché potrà ritargliarsele ed impinguare il curriculum o, piuttosto, una carenza di senso di responsabilità nei confronti del pubblico dei lettori, i veri fruitori del libro? Claudio Angelini, onestamente, non rientra in queste tre fattispecie. E, tuttavia, per l’economia  della mia esegesi, intendo soffermarmi brevemente sul tema della responsabilità perché lo giudico cruciale nella discussione interminabile circa l’etica contemporanea e i valori - guida. Individuo due elementi preminenti: il primo consiste nella invocata esigenza di un’inversione di tendenza rispetto al soggettivismo, tanto di maniera quanto esasperato; il secondo – che è in parte correlato al primo – verte sull’opportunità di riattivare la capacità costitutiva dell’uomo di recepire l’ingiunzione morale che gli arriva da “altri da sé”.

 

1 . RESPONSABILITA’ E SISTEMI DI VALORI

 

Non può non darsi – ritengo – un nesso tra ambito della responsabilità e mondo dei valori per l’uomo in quanto essere sociale. Diceva Cicerone che dobbiamo essere “uomini tra gli uomini” capaci di comprendere noi stessi e gli altri, però inseriva in questo suo concetto di humanitas  la sua identificazione con la virtus, che – per lui – era propria del civis romanus .  Ma ora preferisco tornare, molto sinteticamente, all’essere sociale secondo quanto annunciato da Hans Jonas in “Il principio responsabilità”(1979) in cui delinea un’etica adatta all’età della tecnica, un’etica il cui orizzonte non comprende più soltanto i rapporti interumani ma l’intera biosfera. (Non è casuale, credo, che il filosofo e teologo Joseph Ratzinger abbia scritto – da papa Benedetto XVI – l’Enciclica Caritas in veritate    la cui ultima parte è dedicata alla medesima problematica tanto cara al suo connazionale Jonas che qui ho appena citato. Per restare in ambito germanico, come non pensare a Max Weber ed alla sua famosa conferenza del 1919 “La politica come professione”? Fu in quell’occasione che il sociologo austriaco operò la distinzione, ma non contrapposizione, tra un’etica della convinzione ed un’etica della responsabilità.

 

 

 

 

 

2 .  VALORI ED ETICA

 

                  Oggi si fa un gran  parlare (specialmente in ambienti ecclesiastici) di relativismo etico   attribuendone la paternità (e la colpa!) all’Illuminismo ed al Positivismo. In realtà, se pensiamo a “valore” nel senso di ciò che è buono e utile, allora dobbiamo convincerci che questo argomento lo si incontra già nei Sofisti. Fu Protagora, infatti, a sostenere un radicale relativismo etico: ogni uomo è misura di ciò che per lui ha valore. Oggi, dopo Max Weber e Max Scheler, i valori non sono percepibili dall’intelletto bensì tramite l’esperienza emozionale della coscienza, il che non vuol dire che essi siano contenuti psichici : l’uomo   “ è solo il luogo e l’occasione dell’emergere dei valori” (che hanno la loro origine nella coscienza divina: “ Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori”, 1916).

                        Quello che qui interessa  è cercare di capire fino a qual punto le varie forme di deresponsabilità, inautenticità e avalutatività  hanno eroso il nesso comune che lega (o dovrebbe farlo) i ventisette poeti dei quali Angelini ha tradotto quaranta liriche complessivamente. Si tratta di inglesi, francesi, spagnoli, tedeschi e russi vissuti tra l’inizio del XVI  e la fine del XX secolo. Di essi, 25 sono laici, due religiosi, di cui una addirittura santa: Teresa d’Avila, mentre Luis de Gongora fu ordinato sacerdote nel 1609, all’età di 48 anni.

                         A partire dal sigle de oro iberico, caratterizzato da Filippo II, padrone di buona parte dell’Italia e del Portogallo, difensore dell’ortodossia cattolica e perciò paladino della Controriforma,  il clima  in cui maturò la spiritualità di Teresa (“per amarti non cerco alcun favore / [...] avrei sempre per Te lo stesso amore”); passando per la solenne  sobrietà della lunga lirica in forma di poema epico, nota come Paradise Lost (Paradiso perduto) di John Milton (1674) (“A Dio non giova / opera o dono umano e chi più serra / mite il suo giogo, meglio serve …”); affascinati dalla sensibilità appassionata degli esponenti del primo Romanticismo, vissuti all’insegna dell’irrequietezza, della fuga, della protesta rivoluzionaria, come Shelley (“tu, che dal sonno hai scosso l’azzurro Mediterraneo / giacente immerso nei suoi sogni estivi / innalzami come un’onda, una foglia, una nuvola / che più non cada ... / Fa’ di me la tua cetra / come lo è la foresta! ...”  (Ode al vento di Ponente, 1819,  Firenze). O anche in Coleridge, la cui  musa non della scelliana cetra si avvale ma del vibrar dell’arpa e sta all’ “ascolto, fino a quando l’anima commossa” si perde “assorta nell’incanto…” (L’Usignolo, 1797), mentre pensa – però – a fondare in America una repubblica comunista, secondo lo schema d’una Pantisocracy, cioè una colonia utopistica.

                         Leggendo con attenzione le traduzioni di Angelini mi compiaccio e mi congratulo con lui – anche nella mia veste di traduttore ed anzi proprio per questo – per la sua capacità discreta ma efficace di usare il linguaggio nella sua innegabile priorità di mezzo di comunicazione. Altrettanto degna di complimenti la scelta, sapiente e mirata, delle liriche, coerente con la individuazione tra un cosi vasto campionario di autori.  Lo stile di Angelini è quello di sempre: volutamente piano, riduce i tecnicismi al minimo. La preziosità è da ricercare precipuamente nella individuazione dei luoghi, ma anche nei tempi che quei luoghi abitano e che Angelini, traduttore-poeta, conosce bene.

 

 

 

 

 

 

 

 

                           Prima di affrontare il punto cruciale di questa mia esegesi, ovvero la causalità della scelta di tante celebri personalità poetiche d’Europa ( e sottolineo “Europa”), ancora alcune considerazioni interpretative sul periodo storico dei poeti tradotti in questa antologia: i francesi Lamartine, De Vigny, Baudelaire, Claudel (tutti tra il XIX e metà del XX secolo); i tedeschi Rellstab, George, Hesse ed Enzensberger (dalla metà dell’Ottocento ai nostri giorni), per finire con cinque esponenti della letteratura russa (Puskin, Fedor Tjutchev, Anna Achmatova, Ozip Mandel’stam e Boris Pasternak ( anch’essi, dunque, espressione dell’Ottocento, fino alla metà del Novecento: la Achmatova, infatti, mori nel 1966, sei anni dopo Pasternak .

                            L’indifferenza con la quale Napoleone impiegò  sui campi di battaglia di mezza Europa, per il suo sogno di grandeur, soldati di tutto il continente in qualche modo favorì la formazione di solide compagini statali. “Satelliti”: è vero, ma già dotate di codici di leggi tra i più avanzati che nemmeno la Santa Alleanza si sentì di abrogare dopo il Congresso di Vienna. Non a caso la Germania moderna nacque proprio allora, mentre l’Italia risorgimentale ebbe come suo inizio simbolico il Proclama di Rimini   di Gioacchino Murat.

                            Non solo le leggi “liberali”, ma una nuova libertà espressiva si diffondeva, correlando tra loro le letterature nazionali. Manzoni legge Goethe e Schiller; Hugo i socialisti della Comune ; Stendhal i liberali del Conciliatore e Nievo ammira George Sand. Questa tensione del primo Romanticismo si attenua all’indomani del 1848; lo slancio utopico, che era stato accompagnato dalla musica di Beethoven, Schumann e Schubert, si frantuma nella meditazione malinconica, decadente e simbolista, per esempio di Baudelaire. “Scrivere i silenzi, annotare l’inesprimibile”, dice Rimbaud, diviene un modo per distruggere il vecchio realismo, assalito in quegli anni (l’ultimo quarto dell’Ottocento) dominati dalla cultura francese e contrappuntati dalla musica misticheggiante dell’ultimo Wagner (Parsifal)  e dagli accordi enigmatici di Claude Debussy (L’apres-midi d’un faune).

                     Il crepuscolo del mondo danubiano è nell’eco malinconica della musica di Gustav Mahler, di cui ricorre il  centenario della morte. La felice stagione della borghesia colta europea ( I Buddenbrook di Thomas Mann e Il giardino dei ciliegi di Anton Ceckov) si avvia a un bilancio estremo delle sue possibilità ed entra definitivamente in crisi con la rivolta futurista e la poetica dell’irrazionale. E’ il momento tragico dei conflitti armati che seguono la 1^ Guerra mondiale: la guerra di Spagna e la 2^ Guerra mondiale. Sono gli anni dell’esilio di Brecht e della morte di Garcia Lorca, ovviamente presente in questa antologia di Angelini con il Lamento per la morte di Ignacio. Dopo la fine del conflitto, almeno in Italia, il fenomeno della letteratura americana e alcune autorevoli voci che filtrano dalla “cortina dell’Est”, di cui qui viene data contezza : Achmatova e Pasternak. Il fenomeno dell’apertura culturale in Italia si allarga a ceti sociali prima tradizionalmente esclusi. Il Novecento è l’epoca delle etichette impossibili, dei movimenti culturali bruciati in spazi brevi, talora senza seguito o quasi. L’inflazione degli -ismi  è indice di una razionalità latente. Pare quasi che il Novecento attenda ancora una regola e resti un periodo, provvisorio e confuso, un’ “età dell’ansia”, come disse il poeta Wystan Hug Auden, nato inglese e morto americano nel Novecento.

 

 

 

 

 

3. EUROPA : TRA POESIA E PROFEZIA

 

                       Ed è proprio quest’ansia a far apparire alla cultura occidentale – oggi – un’etica, non dico della responsabilità (argomento iniziale di queste mie note) ma un’etica tout curt come una novità oppure la riproposizione di un teorema antico, dimenticato per la sua inattualità e perciò inutile. Però, come è noto, ad ogni apparizione di manoscritto, la curiosità cresce, contagia, si espande, diventa di dominio comune: né più né meno che la calunnia, che per Gioacchino Rossini “è un venticello”.

                        Sta di fatto che allo stato delle cose essa (l’etica, intendo) nella varietà delle sue declinazioni contribuisce molto a rendere nuovamente visibile la relazione del soggetto con l’”altro”, nelle dimensioni orizzontale (il prossimo, l’ambiente, la natura) e verticale (la norma, la trascendenza, Dio). Non è un caso che all’elaborazione di un’etica della responsabilità abbiano contribuito in modo determinante autori della tradizione giudaico-cristiana, che si sono posti come profeti all’interno della nostra società occidentale, consapevoli di dover arrestare un processo involutivo, ripristinandone al suo posto un altro, virtuoso stavolta.  Non è estraneo a questa radicale inversione di pensiero e di prassi un giudizio riepilogativo e quasi lapidario di Theodor Adorno :”Quella che un tempo i filosofi chiamavano vita si è ridotta alla sfera del privato e poi al puro e semplice consumo, che non è più se non una appendice del processo materiale della produzione …”(1).

                         Dobbiamo riappropriarci del concetto di persona, come acquisizione di autocoscienza umana, che non rinnega l’antecedente teatrale del termine ma lo ravviva, lo eléva, lo sublima. Del resto, c’è un teatro nel quale tutti recitiamo, “divenuti spettacolo al mondo” (1 Cor 4,9).

                         Allo stato in cui siamo pervenuti, caro Angelini, il disappunto non sta tanto nel constatare che c’è stato “un quando” ma sapere, essere certi del “quando” in cui l’uomo si comportava in modo corretto, consapevole, laude dignus.

                          Tutti i poeti da te prescelti sono saldamente ancorati a dei principi, ad una civiltà. E poco influisce che alcuni tra essi ancora amassero portare pane e vino sulle tombe dei morti, come Monica, la madre di Agostino (“ A egregie cose il forte animo accendono/ l’urne de’ forti …”) (2): ciò che conta è che ci siano principi forti, atti a motivare l’agire altrui.  Orazio scriveva: “Vissero forti molti […] ma tutti illacrimati / e ignoti oppressi sono da lunga / notte, perché non c’è un vate che li ricordi … “ (3), attraverso le loro virtù.

                            Ma a parlare di “virtù” oggi si rischia di essere scambiati per venusiani. Scrisse a suo tempo Paul Valéry che “la parola virtù non si incontra più se non al catechismo, nelle barzellette, all’Accademia e nelle operette” (4).

 

 

(1) THEODOR W. ADORNO, figura di rilievo, con Max Horkheimer, della Scuola di Francoforte. In pratica egli dice che non si comunica più “a due” ed inoltre, quanto al consumo, esso non si limita soltanto al “prodotto” (industriale, manufatto, ecc.) perché in questa società tutto è omologato al prodotto, anche l’etica, anche la politica, sempre meno esercizio nella e della polis. In Minima moralia (1951) .

(2) U.FOSCOLO, Dei Sepolcri.

(3) Q.ORAZIO,  Carmina, IV, 9,25 – 28.

(4) P.VALERY, Variété,  

 

 

                            Il sarcasmo espresso in uno stile forbito e lucido, lungi dallo sminuire il fenomeno messo sotto la lente, semmai lo individua e lo quantifica in tutta la sua evidenza. E sono passati circa 80 anni! Tra le virtù, i valori, i principi etici non possiamo non ricordare che tutti i poeti presentati da Angelini (quindi non soltanto i due non laici) erano accomunati dalla stessa fede in Cristo. Una fede adulta, sofferta, testimoniata, non una infatuazione d’assoluto, fuori dalle “spelonche dell’egoismo e dell’ipocrisia”, come diceva Silone (5).

                           Una fede vissuta con totale adesione della coscienza: non importa che -  come la luce – essa si sia presentata con infinite gradazioni. D’altronde, per salvarsi bisogna rischiare, ma anche saper donare e donarsi: l’atto espresso dell’anima, appunto, è darsi, e perdersi per ritrovarsi. Si ha solo quello che si dona.

 

4. LO SMARRIMENTO DELLA MEMORIA E DELL’EREDITA’ CRISTIANA

 

                            Il 19 maggio di 715 anni fa nella torre del Castello di Fumone (Frosinone), dove era tenuto segregato da papa Bonifacio VIII, moriva Pietro del Morrone, l’eremita della Maiella eletto al soglio pontificio nel 1294 col nome di Celestino V. Si era ritirato ben presto da quel ministero perché tormentato dagli scrupoli. Cosi  “fece per viltà il gran rifiuto” (6), anche se non è certo che Dante alludesse proprio a lui. Ogni religione implica un insieme di credenze che non sono frutto di ricerca, perché consistono nell’accettazione di una rivelazione .                   

                           Il Cristianesimo entrò nella storia come adesione ad una verità, accettata in virtù di una testimonianza Superiore .

                          Come tale è vissuto, ha cavalcato attraverso due millenni, ha conosciuto persecuzioni (e ne ha inflitte), ha avuto santi e persone indegne e nessuno si è mai scandalizzato perché la Chiesa che lo professa è casta et meretrix.

                          E’ un fatto che con Cristo Gesù l’utopia si è fatta topia.

                          La nostra religione, proprio perché dell’Incarnazione, ha saputo adattarsi ai tempi, ma deve farlo anche ora, per comprendere le istanze, capire i linguaggi. Deve andare incontro ad una miriade di assenti, di tiepidi, di indecisi, di contestatori. Cresce il numero di coloro che si “sbattezzano” perché vogliono rompere con il Cristianesimo . Ma sono ancora una minoranza. I più vanno aiutati a ritrovare le proprie radici, ma qualcuno deve avere il coraggio di rinnovare lo “scandalo della Croce”, anziché piagnucolarsi addosso. Lo stesso mistero della parola ha un fondo religioso, fin dal tempo di Omero ed anche prima. Ed è questo senso imperioso di aderenza al mistero che trasformò le parole anche alate umane in Logos , in Verbum. In suo nome gli Europei scrissero la pagina, discussa finché si vuole, delle Crociate, dei pellegrinaggi in Terra Santa ed altrove, nei quali i pellegrini affrontavano individualmente o in piccoli gruppi ogni sorta di rischio per andare ad inginocchiarsi davanti ad una croce. Lungo cammini perigliosi (in Italia ancora possiamo scorgere qualche

 

 

 

(5) I.SILONE, Vino e Pane, Mondatori 1976, 131.

(6) DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, Inferno III, 60.

 

 

 

 

 

tratto della via francigena) i viatores  d’ogni dove sperimentavano il sommesso orgoglio della comunione in un’unica fede che battezzava anche la consapevolezza di provenire da medesime radici, in buona misura etniche e di certo storico-religiose.

                          Fu questo spirito, fu questa consapevolezza che tenne in vita la lingua latina e riuscì a rimarginare “miracolosamente” le ferite inferte da sanguinose guerre intraeuropee. E’ ancora questo spirito che convoca a Roma milioni di nuovi pellegrini, per esempio in occasione degli anni giubilari. A questo dobbiamo guardare per ritrovare i presupposti di una coesione, di un gioco di squadra che troppo sovente latita. Non dimentichiamo che Gesù aveva ammonito i disceboli:“ Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore …” (Mt 5,13). Bisogna parlare ascoltando il cuore; bisogna udire con l’udito del cuore.

 

 

CONCLUSIONE

 

             Questo certosino, aulico e prezioso lavoro di Angelini ci rammenta che l’Europa è il Continente delle molte comunità nazionali che hanno e rivendicano una propria fisionomia, una propria cultura, una propria lingua. Questa diversità, se da un lato ostacola la comunicazione, dall’altro la rende ancora più necessaria e feconda. Basta crederci, basta non dimenticare che la vita di questi popoli (tra i quali il nostro, anche se l’Antologia non presenta poeti nazionali) è obiettivamente radicata in valori cristiani comuni: questi valori aiuteranno il restauro – passatemi il termine – di un’etica della responsabilità. In ogni caso è di buon auspicio qualche sensibile segnale che tra cristiani si fa sempre più forte l’esigenza di costruire insieme la casa comune della famiglia europea. “La memoria – ha scritto Agostino – è il ventre dello spirito” (7).   Bisogna dare voce alla memoria di ciò che ci unisce, anche perché “l’Europa è il nostro destino” (Helmut  Kohl).

 

 

 

 

 Roma, 21 maggio 2011                                                                                    

 Caffè Greco                                                                       Aldo G.Jatosti *

 

 

 

 

*A I C L , Roma

 

 

 

 

 

 

 

(7) S.AGOSTINO, Le Confessioni X,14,21.

 

 

Tag(s) : #l'angolo di Aldo Jatosti- libri - letteratura - arte
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