Overblog
Edit post Segui questo blog Administration + Create my blog

“I racconti del paradiso negato

di Salvatore Statello”

 Aldo G. Jatosti A.I.C.L. – Italia (Abruzzo

(Associazione Stampa Estera – Roma, 28 giugno 2011)

 

Dicevano gli Orfici che l’uomo è figlio della terra e del cielo stellato: come dire, un impasto di divino e materia. L’equilibrio consiste nel raggiungere la consapevolezza di questo dualismo: però siccome l’indole dell’uomo è come la pendola dell’orologio, càpita che egli chiuda gli occhi sulla natura materica o sull’altra, quando si trova diciamo sulla terra rinuncia alla civitas Dei ovvero, come dice il nostro Autore, si “nega il Paradiso”.

Questo singolare ed aureo libriccino raccoglie dieci racconti. E’ una libera scelta di inserirsi in quel genere letterario, antico almeno quanto la nostra letteratura, che predilige il grottesco, il satirico, l’ironico, il licenzioso, ed in queste cornici vengono collocati i personaggi, o – alla latina – le personae, usando questo termine nell’accezione doppia di ruolo che l’uomo svolge nella vita o del teatrante che si presenta al pubblico nei panni che non sono i propri in quanto cambiano di volta in volta a seconda del copion

Teatro? certo! Alla Plauto, per esempio, con il suo spirito buffonesco e vivido, la trovata arguta, le invenzioni linguistiche, il ritmo sempre vario e brillante dei dialoghi (ma anche dei monologhi) che animano il dipanarsi delle vicende rappresentate.

Ma, nel contempo, teatro alla Pirandello, nel suo scavare a fondo la verità troppo meschinamente di facciata per essere non dico assoluta ma almeno credibile ed accettabile. Basta salvare le apparenze spacciandole per cose vere, appunto.

A ben vedere, in questa sorta di Carro di Tespi mi vien di pensare al procedamus di “don Modesto, dottore in pedagogia” che dà inizio alla processione verso le libagioni, tra scoppio di petardi – 100, come il voto di laurea dell’attempato parroco e professore di religione dell’amena cittadina – e palloncini rossi (altrettanti 100) lanciati nel cielo con tanto di festoni commemorativi, a ben vedere – dicevo – si recita una parte “a soggetto”, dall’altra ispirandosi alle circostanze, ma sempre ostentando le convenzioni del perbenismo di una società microborghese frustrata dalla sua stessa incapacità di “osare” sul serio e con la sensazione di essere stata “tradita” nelle sue aspirazioni da uno Stato che, nonostante tutto, concede troppo al popolo ignorante e poco timorato di Dio.

Ho fatto un fugacissimo cenno a don Modesto, personaggio che dà il nome al primo racconto del libro. Occorre fare almeno altrettanto per alcuni degli altri, al pari del primo emblematici ed icastici, come il professore Pippo (de La Trinità); Teodoro Ignoto, “dono di Dio” in angoscia perché non sa di chi sia figlio e quando lo scopre si rammarica della propria ricerca; e la povera certosina, mortificata nella sua qualità più preziosa: l’ingenuità; l’ufficiale aitante nella propria divisa, di bell’aspetto virile e – ahimé – così poco “uomo” da preferire di farla finita pur di non continuare in quella farsa (Il lago). Scrive Statello: “Domani quarant’anni... non posso festeggiare questo compleanno (...) Sarebbe stato meglio non aver mai approdato a questa esistenza! Il comodino era pieno di farmaci, i suoi farmaci: sonniferi, ansiolitici, androgeni”.

L’atto d’amore un po’ alla volta era diventato una causa di angoscia. Non l’aveva inventata lui la propria angoscia: essa era acquattata in qualche posto, non facilmente identificabile, e un po’ alla volta si era manifestata come possibile – anzi: definitiva – uscita di sicurezza. L’angoscia poi aveva cominciato a ripetersi come una litania, sopravvivenza simbolica di qualcosa che non c’era più o realisticamente non c’era mai stato. Insomma, una mistificazione, una maniera attiva di non prendere sul serio il mondo.

Esagerazione, ironia, esasperazione, affannosa ricerca del reale si intrecciano inestricabilmente nella scrittura di Statello, cui non è neppure estranea l’ossessione di una luce d’infinito che invano era andato cercando in se stesso e non aveva trovato – non di certo per demeriti propri – nel mondo che aveva frequentato da ragazzo. Un giorno il “nostro” deve aver fatto memoria (e di ciò sarà stato grato a quel mondo) del consiglio di Sant’Agostino: Noli foras ire, in te ipsum redi: in interiore homine habitat veritas. Dunque, perché cercare “fuori” quello che è rintracciabile in noi? ecco svilupparsi allora come vista interiore, una forma di indagine euristica capace di far luce su quell’universo di false verità, di vere falsità che pare accontentare un po’ tutti: chi predica e chi ascolta, perché in tal modo si evita la fatica di approfondire.

 Questo è l’assunto della prima opera di Statello, cioè: L’impostura e la vita, sorta di “romanzo della memoria” scritto nel 1978 e pubblicato nel 1983 dalla “Editrice Italia Letteraria” di Milano. Non a caso, infatti, proprio come una cartina di tornasole rispetto a quanto or ora detto riguardo a I racconti del paradiso negato, l’“io narrante” (Giovanni) ad un certo momento dell’esistenza constata “il naufragio più o meno totale di quei sogni e di quegli ideali che sempre alimentano l’adolescenza e la giovinezza”. Troppi sono gli avvenimenti significativi che minano alla base la fede una volta cristallina e granitica del giovane seminarista (tale, infatti, è il protagonista Giovanni), troppo incisivi (negativamente incisivi, intendo) i comportamenti di chi dovrebbe indicargli la via retta del Vangelo.

Ma leggiamo alcuni brani de L’impostura e la vita. Il primo è tutto incentrato sullo sbigottimento di un giovane seminarista (Lupo) dopo essere stato baciato da un frate. “Confusamente chiese consiglio al confessore e ancora più confusamente ne parlò il giorno dopo al Maestro. Questi gli rise in faccia e gli disse: Cosa vuoi che sia un bacio e poi non sei mica una donna. Non possono esserci conseguenze...”.

Il secondo passo ci illumina sul concetto di morale secondo don Luisi. “La gente, adesso, era cattiva non secondo i peccati che commetteva o le virtù che aveva, ma se aveva votato per suo fratello e per il suo partito”. Sono metafore? sono frutto della fantasia oppure dell’acrimonia? Direi di no. La sua fredda analisi si sforza e si picca di essere sempre aderente alla realtà. Non ha colpe chi denuncia, le hanno quelli che tradiscono gli ideali e il candore dei giovani. Sono gli “impostori”, per l’appunto, quelli che capovolgono la clessidra della vita. Così per i tanti Giovanni arriva il momento in cui l’immagine della vita si separa dalla vita stessa e le parole – gradualmente ma in modo irreversibile – acquisteranno altri significati, per cui sarà necessario riscrivere il dizionario.

 

“Fra cinquant’anni nel duemilaventitré, la società italiana sarà molto cambiata, molto degenerata. La lingua, per conseguenza, subirà una grande trasformazione in breve tempo. Le parole, anche se avranno la stessa grafia di oggi, assumeranno un altro valore semantico”, sosteneva lei (Claudia). Intanto, seduta sul letto, usciva dalla sua ventiquattrore dei fogli e leggeva alcuni dei futuri vocaboli:

 

Amicizia:      s. f. rapporto di interessi reciproci o unilaterali che lega due                                                                                      o più persone.

 

Amore:           s. m. languido e volgare sentimentalismo pernicioso al                                                                                                                                                                                                                   genere umano.

 

Furto:             s. m. azione ritenuta spregevole e perseguibile sino al secolo scorso. Ma dopo lotte e interventi di eminenti uomini politici nella seconda metà del secolo scorso e con D.P.R. n. 1, art. 1 del 2000, è ritenuta un’azione encomiabile e incoraggiabile.

 

Ipocrisia:        s. f. grande virtù basilare degli uomini moderni.

 

Onestà:            s. f. parola di significato arcaico caduta in disuso. Oggi è sostituita con coglioneria.

 

Sincerità:         s. f. sinonimo di ingenuità.

 

 Libertà:           s. f. questa parola” continuava Claudia, “è molto difficile. Stabilire il suo valore semantico cinquant’anni prima lascia molto perplessi. Si prevede che essa possa assumere tre significati completamente diversi...

                                             (da L’impostura e la vita pp. 151-152)

 

                L’Europa ha osservato la storia buffa della propria esistenza per così tanto tempo che nel Novecento Jonesco può dire: “Ci sono poche cose che separano l’orribile dal comico”. Dio è sempre più absconditus e l’uomo è convinto di essere il fondamento di ogni cosa, specialmente se può disporre di potere e di capacità di ricatto.

                Come può difendersi un qualsiasi Giovanni, alias Salvatore Statello, da un simile cataclisma? Affrontando “il diavolo per le corna”: scrivendo delle imposture ed usando la penna dell’ironia, del grottesco; il burlesque, insomma, come se preparasse un canovaccio per uno spettacolo con numeri di varietà, tra i quali non mancano di certo le improvvisazioni dei trasformisti e le trasformazioni degli improvvisatori.

                Lo stile di Salvatore Statello si estrinseca – sul piano denotativo – di amara ironia, di sarcasmo, di colpi di spillo. Non solo: intrecciando le situazioni (non ci sono significative differenze stilistiche tra le due opere che qui ho preso in esame) egli compie un’unificazione linguistica in senso orizzontale e in senso verticale. Ciò per dare agio ai lettori non impastati di umori siculi di calarsi, di immedesimarsi nelle varie personae avviluppate in atmosfere post-pirandelliane, che trasudano vapori di mistificazione.

                L’uomo statelliano, se così posso dire, vive una realtà di cui non sempre avverte (come nel caso dell’esigenza di un nuovo dizionario) il possibile sviluppo futuro e nella quale i contorni del presente e il presente stesso scompaiono. Di fronte a questa situazione è dolorosamente evidente l’inutilità di strumenti tradizionali di comprensione del reale concettualmente prestabiliti, compresi quelli di derivazione desanctisiana-gramsciana. Che resta, dunque? Restano pochi e vaghi “dover essere”, quali la negazione dei diritti in nome d’una non meglio identificata “coscienza” di casta, di status, non certo di classe.

 

                                         -----------------------------

 

                Ben altra temperie vive il lettore di Ines de Castro, eroina del teatro italiano tra Settecento e Ottocento, (anno 2004), ovvero di un personaggio “romantico” a tutto tondo per il quale e grazie al quale si può commentare che è “... bello doppo / il morir vivere / anchora...”. Si tratta di un lungo, denso, rigoroso saggio storico che si dipana diacronicamente attraverso 650 anni e tutte le opere che in varie parti d’Europa sono state scritte sulla vicenda. Dicendo “opere” si intende una produzione artistica poetica, drammatica, tragica e melodrammatica, cui hanno messo mano personaggi quali Luís de Camões, Garcia de Resende, Antonio Ferreira, Jerónimo Bermudez, Pietro Metastasio, Antoine Houdar de La Motte, Gioacchino Napoleone Pepoli. Sulla scena la vicenda di INES è stata interpretata da celebrità come Anne-Marie Duclos, Adriana Lecouvreur, Adelaide Ristori, Giacinta Pezzana.

Come ci ricorda nella prefazione al libro Alfredo Sgroi, “la letteratura (...) ha rappresentato nelle sue diverse espressioni il ricettacolo ideale di paradigmi che – giusta l’osservazione di Roland Barthes – attraverso mutevoli metamorfosi si inabissano e riaffiorano in fondo uguali a se stessi nelle opere degli scrittori di tutti i tempi. Anzi, spesso uno scrittore è stato tanto più grande quanto più riesce a creare miti capaci di affascinare più generazioni”.

Nella vicenda di Ines de Castro (nobile, comunque figlia illegittima di Pietro Pires Castro di Galizia) vissuta tra il 1315 ed il 1355 eros e thanatos si intrecciano secondo uno schema che ha celebri antecedenti (ed altri ne avrà) nei secoli. Ella, infatti, amò riamata Pietro I di Portogallo, peraltro legato da matrimonio con Costanza Manuel Peñafiel (di Castiglia). Quando alla morte di costei, Pietro e Ines stavano costruendo su solide basi la loro unione (dalla quale erano nati tre figli), trame di palazzo decisero che la futura regina dovesse essere eliminata. Eros e thanatos, dunque, binomio che accomuna la storia dei due amanti a quella – due per tutte – di Paolo e Francesca e di Tristano e Isotta.

                Il pregio di Statello è duplice: la ricerca davvero certosina e rigorosa da un lato; il non coinvolgimento emotivo dall’altro. Un’opera può essere definita efficace da un punto di vista didattico e divulgativo se è in grado di raggiungere il pubblico senza cedere sul piano del rigore teorico, in grado di fornire i presupposti fondamentali del tema rifuggendo da travisamenti, banalizzazioni, tradimenti, aggiustamenti in corso d’opera per titillare le corde del sentimento. Insomma, si è lasciato guidare dallo “spirito di verità”, che non necessariamente deve sfociare nell’irreparabile (thanatos) ma anzi possono se non alimentare almeno non uccidere la speranza. Abbiamo l’obbligo, pare voglia dire Statello, di non abbandonarci alle “ragioni del cuore” (come diceva Pascal) per sfuggire al compito di dare le ragioni della speranza. Né possiamo rifugiarci nel famoso concetto kantiano: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”, perché anche questo assioma trova rifugio nel cuore, intimo, profondo, insondabile.

                La speranza di cui l’uomo d’oggi ha bisogno si veste di ragionevolezza, di buonsenso ed anche di spiritualismo. Però, attenzione: non deve nemmeno essere un mero esercizio di pensiero. Si potrebbe ripetere con Hegel che non si rende spirituale un cane “facendogli mangiare libri che parlano di Dio”. Non basta giocare con le idee:bisogna saper scegliere e amare, conoscere scegliendo e scegliere consapevolmente, senza “perdere nulla”. Come è scritto nel Faust di Goethe: “Ciò che hai ereditato dai padri / riconquistalo, se vuoi possederlo davvero” (parte I, scena della notte).

 

Roma, 28 giugno 2011                                AICL Italia (Abruzzo)

 

Associazione Stampa Estera

 

                                                                            

Tag(s) : #l'angolo di Aldo Jatosti- libri - letteratura - arte
Condividi post
Repost0
Per essere informato degli ultimi articoli, iscriviti: